Il  Neorealismo

 

Il Neorealismo è stato un movimento culturale nato e sviluppatosi in Italia durante il secondo conflitto mondiale e nell'immediato dopoguerra (negli anni compresi tra il 1945 e il 1950-52), e che ha avuto dei riflessi molto importanti sul cinema contemporaneo. I canoni fondamentali del movimento prevedevano trame ambientate in massima parte fra le classi disagiate e lavoratrici, lunghe riprese all'aperto e attori non professionisti per le parti secondarie e preferibilmente anche per le principali. I film dovevano trattare sopratutto la situazione economica e morale del dopoguerra italiano, e riflettere i cambiamenti nei sentimenti e le condizioni di vita: speranza, riscatto, desiderio di lasciarsi il passato alle spalle e di cominciare una nuova vita, frustrazione, povertà, disperazione. Per una maggiore fedeltà alla realtà quotidiana, nei primi anni di sviluppo e di diffusione del neorealismo i film vennero quindi girati in esterno, sullo sfondo delle devastazioni belliche; d'altra parte gli studi cinematografici che erano stati il centro della produzione cinematografica italiana, ossia Cinecittà, erano stati occupati dagli sfollati sino dall'immediato dopoguerra, risultando quindi indisponibili ai registi.

I primi film neorealisti proponevano storie contemporanee ispirate a eventi reali e spesso raccontavano la storia recente come "Roma città aperta" di Roberto Rossellini, epopea della Resistenza, grazie all'alleanza tra comunisti e cattolici a fianco della gente.

L'attenzione fu poi rivolta ai problemi sociali, come in "Ladri di biciclette" di Vittorio De Sica, in cui il dramma di un operaio rappresenta la durezza della vita nel dopoguerra. La denuncia del disagio sociale è ancora più forte nei film "Riso amaro" di Giuseppe De Santis e "La terra trema" di Luchino Visconti. In definitiva il Neorealismo porta sullo schermo tutto ciò di cui il fascismo non ammetteva l'esistenza: la povera gente, le donne del dopoguerra, i conflitti sociali, le prostitute, gli emigranti, ... Anche da un punto di vista linguistico il Neorealismo porta delle innovazioni: la riscoperta delle lingue e dei dialetti che il nazionalismo fascista aveva bandito. Nei capolavori di Rosselli, De Sica, Visconti il tedesco, l'inglese, i dialetti regionali assumono la stessa dignità della lingua ufficiale italiana, e termini dialettali o persino stranieri compaiono nei titoli (Sciuscià, Paisà, Okey John!).

Ma non soltanto tecniche cinematografiche particolari (riprese dal vero, attori di strada) o l'apertura a tutti i linguaggi o certi contenuti scelti e sviluppati secondo un canone predefinito devono essere considerati quali esclusivi elementi caratteristici del Neorealismo; è neorealismo il comune atteggiamento di fronte alla nuova realtà che gli eventi bellici hanno generato e il comune spirito nell'indagare le vicende collettive, quale passaggio obbligato per avviare un processo di rinnovamento e ricostruzione, morale, sociale ed economico, del paese. In questo senso ciascun regista o sceneggiatore mostrerà una propria sensibilità e visione della realtà e dei suoi problemi, e tutti coloro che aderiranno a questo movimento e altri che ai suoi canoni si ispireranno, consapevolmente o meno, contribuiranno con le loro opere alla rinascita del Paese.

Ma a parte il periodo classico, di maggior fulgore del movimento, i primi sintomi del Neorealismo si evidenziano agli inizi degli anni ’40, mentre l’Italia si trova impegnata in guerra; film come “Quattro passi tra le nuvole di Alessandro Blasetti, “I bambini ci guardano” di Vittorio De Sica, Ossessione di Luchino Visconti o Avanti c’è posto e Campo de’ fioridi Mario Bonnard esprimono l’esigenza di un nuovo contatto con la vita reale, soprattutto delle classi meno abbienti o povere, distaccandosi dall’atmosfera patinata ed irreale dei film “dei telefoni bianchi” e dalla loro rappresentazione edulcorata della realtà quotidiana. Ma anche in alcuni film del regime si intravedono i segni del cambiamento: sono soprattutto quelli diretti dal Tenente di Vascello Francesco De Robertis, quali “Uomini sul fondo”, “Alfa Tau”, "La nave bianca", che girati con equipaggi dal vero (sommergibilisti, avieri, marinai) sui loro mezzi di guerra volevano raccontare l’abnegazione ,il senso di dovere e l’amor patrio di questi uomini; tutto in maniera documentaristica e senza retorica militare, cosa abbastanza inconsueta per quegli anni. Da notare per ultimo che è impossibile definire cronologicamente una data che segna la fine del Neorealismo; con una punta di scherno agli inizi degli anni ’50 si incomincia ad etichettare di Neorealismo rosa quei film che non rappresentando più lo stato di povertà ed arretratezza della società  danno una rappresentazione meno drammatica della vita ed argomentazioni più lievi, secondo lo stile della commedia.

Inutile sottolineare che, allontanandosi dagli anni bui del dopoguerra, questa evoluzione del cinema è abbastanza naturale e che, comunque, l’esperienza del Neorealismo influenzerà nel prosieguo molti dei giovani registi che si erano formati in quegli anni.

E’ significativa al riguardo l’intervista rilasciata da Mario Verdone a Paolo Mattei [13] in cui alla domanda: “Fino a quando si può parlare di neorealismo nel cinema?” rispondeva: “Qualcuno dice che il neorealismo dura circa cinque anni, da “Roma città aperta” del ’44-45 a “Umberto D” del ’52. Io non sarei così categorico nelle definizioni cronologiche. Ci sono pellicole successive, come “Accattone” del ’60 e “Mammma Roma” del ’62 di Pasolini, o “Le mani sulla città” del ’62 di Francesco Rosi, che non sono certo più connesse ai temi della guerra e della resistenza, però sono legate alla vita vera, popolare o piccolo borghese, e quindi in questo senso sono ancora film neorealisti. Ermanno Olmi con “Il posto del ’61, un film sui giovani disoccupati, ha un debito enorme col neorealismo. Che dire, per portare altri esempi, del Generale Della Rovere di Rossellini, girato nel ’59, o della “Ciociara” di De Sica del ’61? Anche questi film a mio modo di vedere appartengono alla stagione neorealistica, pur essendo a stretto rigore cronologico opere tardive, per l’osservazione disincantata della realtà di cui sono portatori. E, per avvicinarci ancora di più al nostro tempo, lei crede che, senza l’esperienza del neorealismo, Olmi avrebbe potuto girare nel 1978 il capolavoro “L’albero degli zoccoli”? Io credo di no”.

Anche la distinzione tra film "neorealisti" ed "altri" è ardua e per certi versi, se si escludono poche decine di film unanimamente riconosciuti come tali, arbitraria. Già nel 1974 in un convegno sul Neorealismo svoltosi a Pesaro durante la X Mostra Internazionale del Nuovo Cinema si riconosceva come fosse difficile stabilire quali film fossero ascrivibili a questa corrente, poichè una specificazione univoca di Neorealismo non era agevole da dare; le considerazioni critiche erano, e continuano ad essere, le più diverse tra loro. 

L’individuazione dello spartiacque andava ricercata secondo criteri puramente estetici o piuttosto secondo caratteriste che afferivano alla sfera dell’etica, o con un mix di entrambi?

Il critico cinematografico Alberto Farassino in un saggio del 1989: “… è impossibile trovare l’esatta linea di demarcazione fra questa area e quella dei film che certamente e in nessun modo, e in nessun loro fotogramma neorealisti non sono. Ma soprattutto per verificare le mille, fantasiose possibilità di combinazione e intreccio che il cinema e i suoi testi sanno realizzare fra i sistemi e le regole in cui si muovono. Si può dire che se sono pochi i film e gli autori che aderiscono pienamente e con convinzione al progetto neorealista sono pochissimi quelli che non ne restano occasionalmente, per lo spazio di un anno, di un film, di una sequenza, conquistati e influenzati. Così che si può affermare che – se certamente il neorealismo non è tutto e nemmeno la parte preponderante del cinema italiano del dopoguerra – senza di esso quasi tutto questo cinema sarebbe certamente stato molto diverso”.

 

P.S.  Ho scelto di limitare i "dintorni" della stagione  neorealista alla fine degli anni '50 e di includere nell'album, oltre a film generalmente riconosciuti come tali, anche altre pellicole che, risentendo in varia misura degli influssi di questa corrente, hanno ben  descritto le vicende e il clima socio-politico-economico di quel periodo storico, o hanno rievocato i momenti della resistenza e le lotte partigiane, o che comunque, anche con una descrizione più psicologica che epica dei personaggi o della realtà (Rossellini, Antonioni, n.d.r.), hanno saputo esprimere i sentimenti o le abitudini di una classe sociale.

Nelle schede dell'album, ciascuna dedicata ad un film, è riportata una breve sintesi della trama e qualche cenno a recensioni critiche o curiosità volte a cogliere le particolarità della pellicola in riferimento al contesto in cui è stata realizzata; del film considerato sono inoltre mostrate foto, manifesti o locandine della collezione.