Neorealismo e dintorni

Sale cinematografiche semideserte e autorevoli stroncature politiche decretarono l'insuccesso di Umberto D., il film che Vittorio De Sica e Cesare Zavattini avevano voluto realizzare a ogni costo e che consideravano il loro capolavoro. Fu la fine del "neorealismo". La scommessa di alcuni grandi registi (Rossellini, Visconti, De Sica) di poter rappresentare la dura e triste realtà italiana del dopoguerra nella sua verità e senza infingimenti era definitivamente tramontata; al pubblico non piaceva questo tipo di film, in cui si mostravano le difficoltà materiali e sentimentali della povera gente senza ricorrere al comico, al romanzesco e all'avventuroso, ma solo con la verità  dell'immagine. A niente era valso il clamoroso successo internazionale di questo tipo di cinema. Da allora in poi i grandi produttori e lo Stato avrebbero finanziato film di intrattenimento con attori famosi.

La stroncatura politica evidentemente si riferisce al seguente episodio: Giulio Andreotti, allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega allo Spettacolo, scrisse sul settimanale DC "Libertas" nel 1952: "Se è vero che il male si può combattere anche mettendone duramente a nudo gli aspetti più crudi, è pur vero che se nel mondo si sarà indotti, erroneamente, a ritenere che quella di Umberto D. è l’Italia della metà del secolo ventesimo, De Sica avrà reso un pessimo servigio alla sua patria, che è anche la patria di Don Bosco, del Forlanini e di una progredita legislazione"...; la polemica tra Istituzioni e parte dei registi del movimento neorealista era aspra.

 

Questo giudizio sembra però contraddire quello che fu il risultato di una indagine "referendaria" [58] organizzata dal Cine Club Popolare Milanese, condotta il 2 marzo 1952 su un campione di  circa 1400 spettatori che, dopo aver assistito al cinema Capitol di Milano ad una proiezione speciale del film, vennero chiamati ad esprimere un proprio giudizio. Il pubblico era abbastanza eterogeneo e così suddiviso per classi sociali: 17% operai, 42% impiegati, 19% liberi professionisti, 17% studenti, 5% insegnanti.

Risposero all'indagine 160 spettatori con giudizi, abbastanza argomentati, così classificabili a meno di decimali: con parere favorevole l'85%, favorevole ma con riserva il 12%,  negativo il 2%.

Questa circostanza induce a pensare che il giudizio politico abbia fortemente condizionato, al di là di quelli che potevano essere i gusti popolari del momento certamente in evoluzione, il buon successo del film limitandone la distribuzione ed il successo al botteghino.

 

 

 

 

 

Foto 35x50

 

 

Umberto D. (1952)

 

Regia: Vittorio De Sica

 

Il regista dedica il film al padre, Umberto De Sica, a cui è legato da un rapporto molto forte.

 

La trama: un vecchio funzionario statale, Umberto D., è costretto a vivere da pensionato indigente in una misera camera ammobiliata, con la perenne minaccia di sfratto. Solo Maria, la servetta, gli dimostra una certa comprensione e l'unico amico fedele è Flick, un cagnolino bastardo. Dopo un ricovero in ospedale le difficoltà economiche di Umberto  peggiorano: deve riscattare il cagnolino al canile municipale dove era stato rinchiuso e nessuno dei vecchi amici è disposto o può aiutarlo; anche il tentativo di raggranellare qualche soldo chiedendo l'elemosina non ha successo, la sua dignità glielo vieta. Sconsolato decide di farla finita e sta per gettarsi sotto un treno; ma lo spavento di Flick lo richiama alla vita e per Umberto è la salvezza; non pensa più al suicidio.

 

Umberto ci viene presentato come un borghese ormai povero ma ancora dignitoso nell'animo e nell'aspetto; ha un carattere schivo ed è debole e rinunciatario, sconfitto dalla povertà e dalla solitudine; la padrona di casa sembra un personaggio da film dei "telefoni bianchi", con la sua eleganza ostentata e i suoi futili passatempi;
anche gli ex colleghi di Umberto non fanno una bella figura con il loro rifiuto ad abbassarsi per aiutare gli altri; non ne esce bene nemmeno la carità dei religiosi; il film ci rivela la vera faccia di questo ceto borghese, fatta di egoismo, durezza e avidità.
Anche se deboli e perdenti, Umberto e Maria sono i veri eroi, grazie alla macchina da presa che esplora il loro animo e ci fa vivere i loro sentimenti e le loro sofferenze.

E' il trionfo della poetica del Neorealismo e della tecnica del "pedinamento" dei personaggi: la cinepresa si sofferma sulla stanza di Umberto, sulla sua difficoltà a prendere sonno; ce lo mostra quindi impietosa mentre cerca di elemosinare davanti al colonnato del Pantheon ed al suo rientro, quando trova la stanza sventrata e le sue cose ammassate. I primi piani si susseguono con il crescere della drammaticità: appare la faccia angosciata di Umberto quando cerca di ritrovare Flick al canile, la sua faccia scoraggiata quando ha perso ogni speranza; fa tutto la macchina da presa, dalla bocca del personaggio non esce alcuna parola che esprima ciò che sente dentro. Anche la scena del risveglio di Maria è uno dei capolavori della poetica neorealista: bastano i più banali gesti o ambienti della vita quotidiana (alzarsi, togliere le formiche dal muro, macinare il caffè, chiudere la porta con il piede, asciugarsi le lacrime) per svelare il profondo del suo animo.