Neorealismo e dintorni

Non c'è pace tra gli ulivi (1950)

Regia: Giuseppe De Santis

 

La trama: Francesco Dominici, tornato dalla guerra, decide di riappropriarsi delle sue pecore rubandole al prepotente del posto, Agostino Bonfiglio; costui, arricchitosi durante la guerra, controlla adesso tutte le attività dei contadini del luogo ed è temuto per le sue angherie. Scoperto, Francesco viene arrestato e condannato a quattro anni di prigione. Agostino vorrebbe sposare Lucia, legata sentimentalmente a Francesco, ma il matrimonio va a monte per l'intromissione di Maria Grazia, sorella di Francesco, della quale Agostino durante la guerra aveva abusato e poi presa in casa come serva. Francesco però riesce ad evadere dalla prigione e, inseguito dai carabinieri, a sua volta dà la caccia ad Agostino, che temendone la vendetta fugge, trascinando con sè Maria Grazia e le pecore. In fuga, accecato dalla paura, finisce per uccidere brutalmente la donna e trovare la morte  precipitando in un burrone. Francesco si consegna ai carabinieri, confidando in un nuovo processo e nell'assoluzione.

 

 

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Dopo le critiche ricevute per il suo precedente film Riso amaro, il regista sembra quasi, con questa storia, volersi riconciliare con la critica neorealista di sinistra; gli riesce solo in parte. Il critico Vice [24]: "Dopo Riso amaro, opera decisamente sbagliata nonostante i suoi aspetti positivi, si attendeva Non c'è pace tra gli ulivi come una riparazione. De Santis ha superato solo in parte la sua prova ... Nella prima parte del film l'ambiente aspro e primitivo della pianura ciociara è descritto con misura e con tocchi fortemente realistici. Risulta chiaro che mentre Riso amaro falliva del tutto nella rappresentazione dei suoi temi, Non c'è pace tra gli ulivi raggiunge, in questo senso, una maggiore consistenza, pur dovendo registrare ... alcuni gravi difetti di struttura che in definitiva ne appesantiscono lo stile e ne rendono meno immediato l'assunto: un assunto di solidarietà umana e di comprensione per i problemi degli abitanti di quella regione ancora arretrata e impervia ... In alcuni punti si ha addirittura la sensazione che i personaggi agiscano più come fantocci che come uomini animati da sentimenti autentici e da passioni reali".

Il giudizio è abbastanza oggettivo e condivisibile. Nella descrizione del paesaggio ciociaro ha certamente dato un grosso contributo l'utilizzo di un obiettivo "panfocus" dalla straordinaria profondità di campo; ciò ha permesso, mantenendo a fuoco i primi piani, di ottenere una ottima nitidezza d'immagine anche negli sfondi, con ciò dando un particolare risalto al panorama della Ciociaria, roccioso, ricco di bassi arbusti su cui si innalzano pochi ulivi solitari.

Su questo scenario ben definito, quasi scolpito, il regista fa muovere i propri attori come fossero sul palcoscenico di un teatro e recitassero per un pubblico presente in sala,  mentre egli dialoga  con la propria voce, fuori campo, direttamente con gli spettatori; ne consegue un fluire della trama non naturale, ma enfatico e al tempo stesso impacciato.

In definitiva una storia posticcia, con situazioni anche inverosimili, sullo sfondo ben tratteggiato della Ciociaria, terra cara al regista, e dei pastori ciociari, con le loro tradizioni, i loro canti, il loro lavoro e sopratutto lo stato di sfruttamento da cui possono uscire solo acquisendo una coscienza di classe.

 

 

 

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