Neorealismo e dintorni

la Trama: la guerra è appena finita. Un sonatore ambulante, Matteo, uscito dal carcere scopre che il piccolo Angelo lasciato dalla moglie, morta dopo il parto, è un mulatto; la donna aveva subito violenza durante l'occupazione alleata. Profondamente scosso, ferito nei sentimenti più intimi, Matteo, vorrebbe ripudiare il bimbo; ma non c'è niente da fare: il piccolo mulatto è per legge, suo figlio. A poco a poco, quasi senza accorgersene, l'uomo s'accosta al bimbo, e quando il bimbo s'ammala, Matteo, fino ad allora ateo, si sorprende a pregare per la sua salvezza. Ormai l'ama tanto da rinunciare alla fanciulla amata pur di non separarsi da lui. Ma un giorno si presenta un negro, fratello del vero padre di Angelo, morto in guerra. Vorrebbe prender con sé il bimbo ma è disposto a lasciarlo se la felicità del nipotino l'esige. Ma Angelo sente il richiamo della razza e si stringe a lui. Con le lacrime agli occhi, Matteo lo lascia partire.

 

 

 

 

Locandina 33x70

 

 

 

Il mulatto (1950)

 

Regia: Francesco De Robertis

 

 

In questo film il Regista 'tradisce' quella che nella sua carriera artistica ha costituito l'ispirazione principale: la narrazione delle gesta eroiche, e spesso dei drammi personali, degli uomini che nelle forze armate, aviazione, marina, esercito, hanno combattuto per la Patria; approccio documentaristico e veridicità narrativa che hanno fatto di De Robertis uno dei precursori della stagione del Neorealismo.

Ma anche quì lo spunto è drammatico, e anche quì l'origine del dramma è nella guerra e negli strascichi che essa ha comportato: i figli illegittimi, spesso di colore, che le truppe alleate hanno lasciato dietro di sè. In quegli anni dell'immediato dopoguerra ciò ha rappresentato un reale problema per le comprensibili difficoltà che tali situazioni hanno creato in numerose famiglie italiane.

Il Regista affronta questo argomento con spirito cristiano. Nei titoli di testa egli dichiara:

"L'ingiustizia di una legge trascina in basso un uomo, fino al delitto. Ma attingendo forza e fede dalla sua stessa essenza umana, l'uomo si risolleva passando dall'odio alla pietà, e dalla pietà all'amore".

 

Il film solleva critiche di segno opposto:

"Col Mulatto De Robertis ha sbagliato.. i tempi psicologici del suo soggetto. Mentre sta succedendo quel che sapete in Corea, e mentre nessuno di noi è sicuro di alzarsi il giorno dopo sotto lo stesso libero sole, qui ci si indugia nelle lacrime e nella compassione soprattutto di sè. E' logico poi si finisca sotto le riprovazioni dei critici e, ciò che è peggio, sotto la noia degli spettatori" [P. Bianchi -Candido, 30/7/1950];

"Il film vuole essere una battaglia in favore di quel senso umano e cristiano della vita per cui tutti sono uguali davanti a Dio... Partito ateo e indifferente a ogni idea superiore [Matteo, il protagonista] viene attraverso l'affetto del piccolo mulatto conquistando via via la Fede... Qualche lievissima riserva è proprio quel senso religioso che matura nell'animo di Matteo e che, per qualche lato, sembra un pò gratuito e comunque non troppo elaborato" [Carlo Trabucco - Il Popolo, 10/06/1950].